Giardino all’italiana

Il Giardino all’Italiana è la naturale evoluzione del giardino dell’Umanesimo, frutto della cultura antropocentrica, che si connota per un carattere magnificente in cui regna una perfetta armonia. È questa una concezione secondo la quale nel giardino viene ricreato l’ordine cosmico mediante l’applicazione del ritmo e dell’armonia, della proporzione e dell’equilibrio, che si dichiarano nell’utilizzo di un rigido geometrismo e nel rigoroso controllo di tutte le parti e del rapporto di esse con il tutto.
Ulteriore affermazione del dominio della razionalità dell’uomo – che tutto controlla fino a ridurre la stessa natura in forma architettonica – durante il Rinascimento (XV-XVI secolo) assume un significato prevalentemente decorativo e architettonico: i viali vengono usati come assi prospettici che collegano le varie parti del giardino, dando così una specifica attenzione agli effetti percettivi e mettendo nel contempo in rilievo i giardini pensili, le terrazze e le scalinate. Le caratteristiche che contraddistinguono il giardino all’italiana sono la geometria dei tracciati e delle aiuole sempreverdi e/o fiorite; la potatura, volta a creare disegni geometrici dalle forme regolari; la presenza di elementi architettonici sapientemente armonizzati con il verde e la presenza di statue e fontane. Assistiamo quindi ad un ritorno alle forme architettoniche di gusto squisitamente classico, con una particolare attenzione per l’ars topiaria: tipo di arte che consiste nel potare alberi e arbusti al fine di dare loro una forma geometrica, diversa da quella naturalmente assunta dalla pianta, per scopi ornamentali. Vengono così a formarsi siepi formali, oppure, partendo da esemplari singoli o piccoli gruppi, soggetti con varie forme astratte.
Il nostro giardino, la cui realizzazione avviene nella prima metà del Novecento, per l’asse centrale di percorso e per i parterres topiari in bosso, certamente si rifà alla tradizione del cosiddetto giardino all’italiana, ma, nel contempo, risente di modalità compositive già affermatesi soprattutto oltralpe, con grande interesse per le rose e per “giochi” cromatici di altri fiori, così come per un raffinato rapporto tra luce ed ombra, determinato dall’arcate di rose.
Il giardino Burovich, che vediamo, dopo anni di abbandono, è rinato (2001-2002) da un progetto ricompositivo, commissionato dall’Amministrazione comunale, disegnato dall’architetto Paolo De Rocco e fatto eseguire da Benedetta Piccolomini, paesaggista ed esperta di rose storiche. Sulla base di elementi documentari, quali vecchie foto aeree, testimonianze e tangibili tracce superstiti, gli intenti progettuali ed operativi hanno inteso riprendere l’immagine originaria del giardino, proiezione all’aperto dello spazio abitativo del palazzetto, che, poi, è diventato sede comunale. Si tratta dell’ex residenza di Vincenzo Burovich de Szmajevich, stabilitosi a Sesto in una delle aziende agricole di famiglia, con la moglie Santina dei nobili Scaletaris.
Quest’ultima probabilmente è l’autrice del giardino. I Burovich de Szmajevich, presenti già agli inizi del Settecento in terraferma veneta, provenivano dalle Bocche di Cattaro, oggi Montenegro, e segnatamente dalla cittadina dalmata di Perasto, fedelissima base oltremarina veneziana. Per meriti marinareschi e militari avevano acquisito dalla Serenissima il titolo di conti.L’assetto giardinistico risponde al gusto di un raffinato giardino privato, padronale, nell’epoca che precede la seconda guerra mondiale. Sembra proporsi come un piccolo quadro nel quale immergersi e riposare tra profumi e colori di altri tempi.
Un lavoro preliminare e non indifferente si è identificato con la riattivazione della vitalità del terreno del giardino, che, oltre al lungo abbandono, aveva subito, a causa di piccoli lavori infrastrutturali, apporti incongrui di inerti. Quest’opera di rivitalizzazione è stata pazientemente attuata anche attraverso il contributo di Emidio Fabris, giardiniere biodinamico. Il sistema biodinamico riguarda un metodo di coltivazione, ancor più rigoroso e complesso di quello biologico, che trova una sua teorizzazione, per un rapporto armonico tra fertilità del terreno di coltura ed esigenze di crescita delle piante, nelle elaborazioni del filosofo esoterista mitteleuropeo Rudolf Steiner (1861-1925).
Per qualche anno, nel corso della manutenzione ordinaria, l’opera di rivitalizzazione è continuata. Purtroppo, poi, si sono alternate maestranze e modalità di intervento assai diverse. Oggi si è ripristinata una conduzione quantomeno biologica. La forma del parterre nella sua interezza è, oggi, comunque leggibile. Infatti il disegno nella parte scomparsa è evocato da una pavimentazione differenziata in materiale lapideo.

Alla recintazione del giardino in siepe di carpino bianco (Carpinus betulus) si sostituisce, per un tratto, un graticcio ligneo “a gelosia”, ricoperto di rose, che separa la parte del parterre vivente da quella in pietra e sasso. Si è, infatti, optato, all’interno dell’attuale perimetro dello spazio verde, per una ricostruzione dell’assetto topiario, sulla base dell’impianto d’origine, con nuovi cespugli di bosso, reimpiegando, quindi, i vecchi bossi espiantati per il completamento ricostruttivo dell’altro parterre posto a sud. Concorrono all’immagine del giardino moltissime specie e varietà di fiori che, qui, per economia di spazio, non è possibile compiutamente elencare. Si ricorda la presenza di iris, sia nel novero delle “barbate alte” che delle “crestate”, di gigli, come Lilium candidum, noto come Giglio di Sant’ Antonio, di Hemerocallis, di scille, di narcisi, di anemoni, di nigelle (Nigella damascena), di lavande, di primule selvatiche, di vecchie cultivar di fragola a frutto piccolo, di violette e di una vera e propria “collezione” di aquilegie. Queste specie trovano distribuzione nel giardino a seconda delle loro diverse esigenze di luce. Nelle zone d’ombra troviamo, inoltre, felci, ellebori (Helleborus corsicus e Helleborus niger), acanti, gruppi di mughetti (Convallaria majalis) e di bucaneve.

A proposito di giardino d’ombra è da segnalare un’aiuola visibile da via Roma, attraverso il cancelletto sormontato da una piccola lunetta con un affresco raffigurante una Madonnina. Lungo un vecchio muro crescono ortensie, felci, ellebori e anemoni giapponesi. Presenti nello spazio giardinistico principale sono anche alcuni arbusti da frutto e/o da fiore. Una Buddleia davidii si riempie di variopinti nugoli di farfalle che frequentano i suoi fiori azzurri. All’immagine del giardino contribuiscono anche le glicini (Wistaria sinensis) sulla facciata interna del palazzetto, che si sorreggono alle arcate metalliche del corpo edilizio costituito dal vecchio fogolàr. Tuttavia il giardino, che offre non comuni occasioni di percezioni cromatiche e olfattive, si caratterizza soprattutto come roseto. Alcune rose d’epoca, salvate attraverso il recupero dello spazio giardinistico, appartengono all’impianto originario e sono, tuttora, in attesa di precisa identificazione.
Nel ricomporre lo spazio verde si è ritenuto opportuno inserire anche alcune rose cosiddette moderne, soprattutto quelle denominate “rose inglesi” e dovute al notissimo ibridatore David Austin. Queste rose presentano analogie con quelle storiche per forma, profumo e colori sfumati, ma hanno il dono della rifiorenza. L’intento è stato quello di dilatare, oltre maggio e giugno, l’immagine della rosa in fiore nel nostro giardino.
Accanto alle rose salvate e alle rose moderne, di cui si è appena detto, presenze significative sono costituite da rose storiche. A fini esemplificativi si ricorda tra le rose galliche presenti un esemplare di ‘Cardinal de Richelieu’, che ha assunto in sito dimensione davvero rara per questo tipo di rosa. È varietà originaria dell’Olanda, già presente nel giardino europeo intorno alla metà dell’Ottocento; famosa e apprezzata per la corolla porpora intenso, offre un profumo improntato alla leggerezza e alla delicatezza. Sempre alle gallica appartiene un bel esemplare di “Rosa complicata”.

È, però, ritenuta un ibrido di gallica con la canina o con la profumatissima macrantha. Come altre, nel nostro giardino, si erge entro un supporto metallico colonnare, esemplato dalla tradizione. Una rosa storica di notevole bellezza, ma poco diffusa, è ‘Leda’ della classe delle rose damascene o damaschine, come si diceva, un tempo, a Venezia. È nota anche con il nome di ‘Painted Damask’. Già conosciuta nel XVII secolo, presenta fiori bianchi orlati di cremisi. Il nome si rifà a un noto mito di Giove, che, tramutatosi in cigno, concupisce ripetutamente al bagno la regina Leda; poi da due uova nasceranno i gemelli Castore e Polluce e le gemelle Elena e Clitemnestra. Un’altra bella damascena è ‘Celsiana’ dai fiori semidoppi, profumatissimi, grandi e aperti di un color rosa, che, con il sole, sfuma nell’avorio; gli stami centrali sono dorati.
Diffusa nel giardino europeo prima del 1750, secondo qualche autore sarebbe stata già conosciuta addirittura dagli antichi romani. Sul supporto in asse con il percorso centrale, caratterizzato in sommità dalla sagoma di un galletto segna-nord, si arrampica una Rosa laevigata, nota anche con il sinonimo di Rosa camelia. È ascritta tra le rose botaniche. Si tratta di una rosa cinese riscoperta, però, negli Stati Uniti, dove si sarebbe “misteriosamente” naturalizzata. Più spesso, è chiamata ‘Rosa Cherokee’. Possiede foglie lucenti e grandi fiori bianco avorio a cinque petali. Nel giardino sono presenti oltre quaranta varietà di rose, che si offrono a un curioso percorso di scoperta da parte del neofita, ma anche al competente piacere dell’appassionato.

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