COMPLESSO ABBAZIALE DI SANTA MARIA IN SILVIS

CENNI STORICI

L’origine di Sesto al Reghena deve essere ricondotta all’epoca pre-romana, come ci confermano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nel territorio. La romanità di Sesto è ribadita dal suo stesso toponimo: Sesto era infatti una “statio”, ossia un posto militare collocato al sesto miliario della strada che collegava Concordia con il Norico. Conobbe un significativo sviluppo con la dominazione longobarda, ma fu poi piegata dalle scorrerie degli Ungheri.

Nel Medioevo visse un periodo di grande splendore con l’annessione dell’Abbazia e dei suoi territori al dominio feudale del Patriarcato di Aquileia fino a quando, Venezia, invase militarmente il Friuli nel 1418. Con il trattato di Campoformido, nel 1797, si pose fine alla vita della Repubblica Veneta e nell’Ottocento il territorio di Sesto si intrecciò con le vicende del Regno Lombardo-Veneto fino all’annessione al Regno d’Italia. L’attuale denominazione di Sesto al Reghena risale appunto al 1867, quando il Friuli venne annesso all’Italia e fa riferimento al fiume Reghena che attraversa il paese. Si accede al complesso abbaziale sottopassando il robusto Torrione “Grimani”, unico superstite dei sette che difendevano le mura, oggi sede dell’Associazione Pro Sesto; di fronte appare la massiccia torre vedetta scandita da lesene (1050 ca.), trasformata in campanile; a sinistra l’antica cancelleria abbaziale a destra la residenza degli abati (oggi sede municipale), costruzione di impianto rinascimentale sulla cui facciata si conservano gli stemmi affrescati di cinque abati commendatari. A sinistra di quest’ultima l’entrata principale dell’Abbazia di Santa Maria in Silvis.

mappa

LEGENDA
1. Abbazia di Santa Maria in Silvis
2. Torre campanaria
3. Palazzo Sede del Comune
4. Edificio detto “della cancelleria”
5. Torre “Grimani” ingresso al complesso
6. Chiesa primitiva

ABBAZIA BENEDETTINA DI SANTA MARIA IN SILVIS

abbazia

L’Abbazia di Santa Maria in Silvis (o, meno correttamente, Sylvis) è un ex monastero fondata intorno alla prima metà dell’ VIII sec.
Gli studiosi sono d’accordo nel fissare la data della sua nascita intorno l’anno 735, ad opera di tre fratelli longobardi Erfo, Anto e Marco, figli del duca Pietro e Piltrude. provenienti da Cividale. In un documento (“Charta donationis”) redatto il 3 maggio 762 si legge che i tre fratelli nobili longobardi decisero di lasciare tutto il loro ingente patrimonio di ricchezza e beni per l’edificazione del monastero.

Nell’899 subì la devastante invasione degli Ungheri che la distrusse quasi completamente, ma tra il 960 e il 965 l’abate Adalberto II iniziò l’opera di ricostruzione e l’abbazia accrebbe la sua potenza non solo sul piano religioso, ma anche civile, tanto da assumere l’aspetto di castello medioevale con il suo sistema difensivo formato da torri e fossati. Con il diploma del 967 Ottone I donò al Patriarcato di Aquileia l’Abbazia di Sesto che più tardi, nel 1420, passò sotto la dominazione della Repubblica Veneta che la affidò, nel 1441, a prelati secolari che non vi risiedevano. Soppressa la Commenda, i beni e le proprietà dell’abbazia vennero messe all’asta. Dopo varie vicende la giurisdizione religiosa passò alla diocesi di Concordia (1818) e nel 1921 la Santa Sede le riconobbe di nuovo il titolo di “Abbazia”.
La facciata d’ingresso , risultato di modifiche avvenute lungo i secoli, è aperta da un semplice portale sopra il quale ci sono degli affreschi datati XI-XII sec. (Arcangelo Gabriele, entro lunetta; S. Benedetto) sovrastati da trifore; a sin. una loggetta affrescata nelle pareti interne con una Scena cavalleresca e una Investitura, in quella esterna con S. Cristoforo, Madonna col Bambino e i SS. Pietro e Battista; del XIV sec., a des. una scala balaustrata conduce al salone, un tempo coro notturno per i monaci oggi adibito a manifestazioni culturali.

Varcando il portone si accede al vestibolo interamente affrescato (nelle pareti il ciclo allegorico dell’Inferno a sin., del Paradiso a destra e di S. Michele, nella facciata interna) del 1450 circa, attribuito ad Antonio da Firenze e allievi. Nel vestibolo si apre a destra la Sala delle Udienze, oggi una sorta di pinacoteca e a sin. la Sala Museo con reperti archeologici di varie epoche. Si passa poi all’atrio romanico , diviso in tre navate da pilastri quadrangolari che conservano tracce di decorazione a fresco; da notare nella parete sud (a destra della porta d’ingresso della chiesa) l’affresco trecentesco con l’Incontro del tre vivi e dei tre morti, uno dei più bei esempi di raffigurazione medioevale della morte.
L’ interno della chiesa presenta un notevole apparato di pittura a fresco tra le quali spiccano quelle della zona presbiteriale eseguite intorno al secondo e terzo decennio del XIV sec. da pittori giotteschi.

Nella facciata interna d’ingresso entro lunetta, la Madonna nimbata (XIV sec.); sopra la bifora, stemma dell’abate commendatario Giovanni Grimani; a destra della porta il fondatore dell’abbazia Erfo con la madre Piltrude; nel primo pilastro destro Ottone e Hagalberta (metà XIV sec.). Salendo la scalinata, nel transetto destro , in alto la Guarigione dello Storpio, in basso la Resurrezione della vedova tabita. Ricca di pitture la parete destra con scene della vita di S. Pietro tra le quali Cristo consegna a Pietro le chiavi, Condanna dei SS. Pietro e Paolo e il Martirio di S. Pietro; più in basso la scena simbolica dell’albero mistico, il Lignum Vitae e l’Incendio di Roma. Sulla parete adiacente, sopra l’abside destra, S. Pietro incontra Gesù Cristo sulle acque.
Il semicatino dell’abside centrale ospita, l’Incoronazione della Vergine mentre nella fascia sottostante una finestrella divide due episodi: a destra la Nascita di Cristo e a sin. l’Annuncio dell’angelo ai pastori; al di sotto nei quadrilobi e nelle nicchie, Santi. Nel transetto sinistro in alto un episodio della vita di S. Benedetto, in basso l’Assunzione di S. Giovanni Evangelista. Nel tiburio si conservano episodi della vita di S. Benedetto, di S. Giovanni Evangelista e della Vergine; nei pennacchi affreschi raffiguranti gli Evangelisti e nell’archivolto della parete decorazioni con busti di Santi entro formelle a losanga.
Dal presbiterio a destra si accede alla Sala Capitolare dove si possono ammirare diversi dipinti. Scendendo la scalinata si percorre la navata sinistra decorata con affreschi cinquecenteschi: S. Valentino e scena di processione.

Nella Cripta, che si estende sotto il presbiterio ed è scandita da volte a crociera impostate su colonnine marmoree, si conservano l’Urna di S. Anastasia, splendido monumento d’età longobarda formata dai resti di una cattedra di marmo greco; il Vesperbild, la quattrocentesca Pietà in pietra arenaria da attribuire ad un maestro tedesco; l’Annunciazione degli inizi del XIV sec. con l’angelo e la Vergine iscritti entro una nicchia aperta su due archi trilobati.

LA TORRE CAMPANARIA

Innalzato probabilmente nell’XI-XII sec. Si presenta come una torre in mattoni a base quadrata di 7,70 metri di lato, alta 33,60 metri, che sovrasta gli edifici circostanti e che, per la decorazione caratterizzata da ampie lesene verticali e rare aperture sui fianchi, viene avvicinata agli esempi “lagunari”. La sua funzione in passato non era di certo monastica , ma rappresentativa nella tradizione delle torri monumentali indipendenti italiane.

L’EDIFICIO detto DELLA CANCELLERIA

Il palazzo risale probabilmente alla fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Era sede dell’istituzione civile che fronteggiava quella religiosa, ed erano qui situate anche le carceri come parrebbe far supporre una finestrella verso nord destinata a dare scarsa luce ad un ambiente sotterraneo.

IL PALAZZO DEL COMUNE (ex Residenza Abbaziale)

Il Palazzo del Comune, già Residenza Abbaziale, si erge sul lato est di Piazza Castello e forma un prospetto continuo con la loggetta a due piani e con il portico d’accesso al vestibolo della Chiesa di Santa Maria. E’ stato probabilmente costruito tra la fine del 1100 e gli inizi del 1200—anche se le fonti parlano di almeno tre palacia — in quella fase storica nella quale l’Abate, come dominus del luogo, abbandona la vita comune con i monaci e si apparta in un edificio autonomo ma ubicato in prossimità degli accessi al monastero. L’aspetto che oggi possiamo nuovamente apprezzare gli fu definitivamente conferito nel XVII secolo a conclusione del processo di ristrutturazione dell’antica dimora dell’abate che, come detto, era articolata in più edifici tra loro comunicanti. Il risultato fu la costruzione di un edificio compatto che ricorda una villa veneta; a questo proposito va menzionata la suggestiva ipotesi d’Italo Furlan, ricordata dal Bergamini, che vuole che l’edificio sia stato commissionato dall’Abate Grimani addirittura al grande Andrea Palladio. Nel 1873 l’avvocato Stefano Bia, erede dei marchesi Bia, alienò il Palazzo al Comune, cui serviva l’edificio per farne il Municipio. Ai lati delle due file sovrapposte di finestre, che alleggeriscono l’ampio rettangolo della facciata, completamente restaurata, spiccano quattro stemmi fatti eseguire tra il XVII ed il XVIII secolo dagli abati commendatari.

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